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L’incidente di Roswell

Il 2 luglio del 1947 avvenne uno degli episodi entrati nella storia degli avvistamenti di fenomeni paranormali. Si tratta del cosiddetto incidente di Roswell, avvenuto nell’omonima località, una città del Nuovo Messico negli Stati Uniti. Quel giorno, secondo quanto è stato tramandato, in primis dai giornali dell’epoca, un oggetto non identificato precipitò al suolo. Subito si diffuse la versione che uno o più Ufo fossero stati vittima di un incidente, forse una collisione fra loro. Tanto è vero che un allevatore trovò nei terreni del suo ranch rottami metallici, della cui scoperta avvisò il sindaco della contea di Chaves. Ad aggiungere un supplemento di mistero – e di brivido – gli aggiornamenti, divulgati sempre dai media, che successivamente allo schianto i militari della vicina base statunitense avessero recuperato alcuni cadaveri di extraterrestri. Convinzioni legittimate dal primo comunicato diffuso dai responsabili della base aerea, in data 8 luglio, in cui si parlava chiaramente di un “disco volante”. Ben presto, però, le autorità statunitensi si resero conto del potenziale rischio della diffusione di una notizia tanto clamorosa. Seguì quindi una rapida smentita e le note successive si limitarono a fare cenno al guasto occorso a un pallone sonda. I buoi, però, erano già scappati. Ufologi e appassionati del tema si “aggrapparono” – e ne avevano tutte le ragioni – a quanto scritto nel primo comunicato e sull’episodio di Roswell iniziò ad alimentarsi una storiografia parallela alle conclusioni ufficiali.

Sull’incidente di Roswell il Congresso degli Usa avviò un’inchiesta, completata con un’indagine interna all’Air Force statunitense. Due le relazioni elaborate sul caso. Nel 1995 nel rapporto “The Roswell Report: Fact versus Fiction in the New Mexico Desert”, si concluse che i materiali recuperati nel 1947 non fossero di provenienza extraterrestra ma, in realtà, detriti del programma segreto battezzato “Progetto Mogul”, che impiegava microfoni collegati a palloni sonda lanciati ad alta quota con l’obiettivo di captare, fra l’altro, le onde sonore prodotte dai missili balistici sovietici. Vi è poi un secondo documento, il “The Roswell Report: Case Closed”, pubblicato nel 1997, in cui si afferma che le presunte salme degli alieni scoperte e occultate dai militari Usa fossero, in realtà, manichini usati nei programmi militari statunitensi fra gli anni ’40 e ’50.

Fin qui la storiografia ufficiale. A cui però orde di appassionati non hanno mai voluto credere. A partire dalla fine degli anni ’70, quando una copiosa produzione di libri e film fu decisiva nel dare sostegno a tutte le versioni alternative dell’incidente. Si parlò dell’esplosione di un’astronave, cui seguì la caduta di frammenti di materiale alieno nella contea di Corona, mentre i corpi degli alieni erano stati proiettati a circa 200 chilometri di distanza, dove erano stati raccolti dai militari e portati nell’Area 51, una base sperimentale degli Usa nel Nevada, da allora diventato il “sancta sanctorum” dei fan di ufo ed extraterrestri. Nel 1995, invece, un ufologo sostenne di aver saputo da fonti confidenziali che il velivolo precipitato a Roswell fosse una macchina del tempo e che a bordo ci fossero piloti in arrivo dal futuro. E sempre nel 1995 fu trasmesso anche un video in cui appariva quella che era – secondo chi lo rese pubblico – l’autopsia sul corpo di uno degli alieni recuperati dall’esercito Usa. Un filmato che si rivelò, allora, una “fake news”, una pioniera in questo comparto.

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