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Il sapone per gli Antichi Romani

Per quanto appassionati dei bagni alle terme, i Romani non conoscevano il sapone per l’igiene personale. Qualcosa di analogo a quello che utilizziamo oggi era in uso tra i Sumeri (un prodotto a base di acqua, olio vegetale e sali minerali) e presso gli antichi Egizi, che preparavano un composto con polvere di trona (un minerale ad alto contenuto di sodio) oli vegetali e grassi animali.
 
A Roma, al contrario, non si usavano prodotti del genere, ma si preferiva detergersi con la pietra pomice, con creta finissima che aveva anche un’efficace azione esfoliante, o mediante polveri abrasive derivata dall’argilla. Le classi più povere si accontentavano di un impasto a base di farina di fave e altre polveri vegetali. Dopo l’uso di questi detergenti, per eliminare i residui dal corpo ci si lavava con acqua e si pulivano le membra usando lo strigile, uno strumento di origine greca a lama non tagliente, ricurvo, adatto ad eliminare lo sporco da braccia e gambe e usato soprattutto dagli atleti. 
 
Una specie di sapone, più che altro una sorta di pasta detergente, in uso all’epoca era preparato con polvere di equiseto, un vegetale ricco di minerali, fra cui il silicio. A essa si aggiungeva argilla verde, che contiene saponina e viene utilizzata in diverse preparazioni cosmetiche, e olio d’oliva. Del resto, anche se ignoravano il sapone propriamente detto, i Romani disponevano di una notevole quantità di prodotti cosmetici, perchè tenevano molto alla bellezza del corpo.
 
Oltre alle terme, in cui era possibile non solo lavarsi, ma anche concedersi una sauna, gli abitanti dell’Urbe soggiornavano in stanzette da bagno adiacenti alla cucina, costruite apposta per sfruttare la stessa fonte di calore per ottenere acqua calda, di cui era fornita la domus. Non erano ambienti pensati per essere bagni completi, ma per una sommaria pulizia del corpo, in particolare mani, braccia e gambe. Al mattino appena alzati i Romani non si attardavano sull’igiene personale, si vestivano rapidamente e uscivano a svolgere le loro mansioni. Vi si dedicavano più tardi, alle terme, veri stabilimenti dove ci si poteva lavare, far massaggiare, depilare e dedicare alla cura del corpo in genere.
 
Un accenno meritano anche le paste dentifricie dell’epoca. Plinio ne cita diverse: a base di corno di cervo crudo e cotto (usato da Messalina secondo Scribonio); la cenere di testa di lepre con l’aggiunta di un olio vegetale estratto dalla lavanda: il nardo; la cenere di testa di topo; la cenere di astragalo di bue addizionata alla mirra. Aggiunge Plinio che si considerava salutare anche lavarsi i denti con il latte di capra o il fiele di toro. Stando a Sesto Placito Papiriense (IV sec. d.C.) la cenere di astragalo (osso breve (o “corto”) del piede situato nel tarso) fresco di capra, costituiva un ottimo sbiancante per i denti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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