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I luoghi più celebri di Padova, tra verità e leggenda

L’antico ghetto

Il primo tratto di via San Martino e Solferino, a levante, che un tempo si chiamava via Sirena (dall’insegna di una bottega), comprende l’ex ghetto di Padova, istituito nel 1603. Quando i francesi nel 1797 abbatterono le porte dichiarando l’uguaglianza degli ebrei, via Sirena prese il nome di via Libera. Si ha notizia, che nel quartiere israelita vi erano nel Seicento sessantaquattro negozi, dove si esercitava prevalentemente la “strazzeria” (commercio di oggetti usati). Vi erano tre sinagoghe, di rito italiano, tedesco e spagnolo, con una popolazione aggirantesi sulle mille persone. Ora è rimasta una sola sinagoga, all’esterno della quale una lapide rammenta gli ebrei trucidati durante l’ultimo conflitto, dei quali ottomila italiani e quarantasei padovani. Caratteristici rimangono molti edifici del ghetto, con varietà di pilastri e colonne di recupero. Intervenuta l’emancipazione degli ebrei nel 1797 e apertosi il quartiere, le bottegucce rimasero tali, modestissime se non misere: rigattieri, alimentari, rimesse. Ora l’ex ghetto si avvia, per la sua centralità, a diventare un’interessantissima e caratteristica area commerciale, persino di generi di lusso o voluttuari.

Il vecchio mercato della frutta

Piazza dei Frutti è la sede tradizionale del mercato all’aperto di Padova, appunto, della frutta. Ma l’appuntamento ha oggi perso un po’ del suo colore, “perché l’eterogeneo attuale mercatino ha fatto perdere alla piazza l’autentica destinazione. Quando c’erano solo bancarelle di frutta, o tutt’al più di selvaggina e primizie, e sopra tutto in occasione delle feste o la sera della Striga (vigilia dell’Epifania) assumeva un aspetto difficile da scordarci. Le fruttivendole (tutte, riteniamo, avevano il loro marito, probabilmente l’effettivo titolare della licenza di commercio, ma, chi sa perché, i banchi erano conosciuti dal loro nome) innalzavano fantastiche esposizioni di agrumi che parevano sovrastare i banchi in precario equilibrio. Sul lato orientale (ma questo da alcune generazioni non lo si ricorda più), sorgeva la Camatta, luogo di cottura e di vendita del prelibato “pan padovan”, per cui Carlo Dottori scrisse: “Quella Camatta, il cui mirabil forno / incanta chi gli va due volte intorno”. “Chi va due volte alla Camatta non si può partir più da Padova” era invece un conosciuto detto popolare.

La tomba di Antenore a Padova, verità e leggenda

Nel 1274 durante uno scavo in via San Biagio si trovò una cassa di cipresso con uno scheletro; il preumanista padovano Lovato de’ Lovati ritenne di aver rintracciato i resti di Antenore, l’eroe troiano sfuggito all’incendio della sua città e fece elevare dal capomastro Capra il monumento funebre. Nell’entusiasmo di tanta scoperta, parve avverarsi un’antica profezia: “Quando la Capra parlerà e il Lupo risponderà (lupo, in dialetto “lovato”), Antenore si troverà“. Antenore, considerato nell’Iliade uomo di grande saggezza e padre di figli valorosissimi (giudizio condiviso da Livio e Tacito), fu invece nel Medioevo accusato di tradimento, essendo stati contraffatti i romanzi attribuiti a Ditti e Darete. Dante raccolse appieno tale calunnia. È fuori di dubbio, in ogni caso, che i resti non siano di Antenore, ma probabilmente di un soldato ungaro del IX secolo.

Alberto da Baone, “inventore” dei vini euganei DOC, tesori del territorio padovano

Il Portenari scrive che Alberto conte di Baone “nobilissimo e ricchissimo cittadino di Padova” nell’anno 1192 “considerando che li monti Euganei non erano alpestri ma colline d’ottimo terreno in molte sue parti” si operò per disboscarli ed impiantarvi vigneti. I produttori dei vini DOC degli Euganei dovrebbero ricordarselo e ricordarlo. Il suo nome rimane legato al ratto di Speronella (leggenda a cui si ispirarono copiosamente poeti e drammaturghi del Romanticismo). La vergine Speronella, figlia di Dalesmanno e fidanzata con Jacopino da Carrara, fu rapita dal vicario imperiale Pagano. Il fratello Dalesmanino, coadiuvato da Alberto da Baone, Alberto da Zaussano e Rambaldo da Collalto, trasse motivo per sollevare il popolo padovano durante la Festa dei Fiori del 23 giugno 1164 riuscendo a cacciare Pagano e a riprendere Speronella, sulla quale, tuttavia, sono controverse le ipotesi degli storici: alcuni la ritennero invece donna licenziosa che nel giro di sette anni, dopo i trascorsi con Jacopino e Pagano, avrebbe avuto cinque mariti. Da Oderico Fontana ebbe Jacopo da Sant’Andrea, collocato da Dante tra gli scialacquatori nell’Inferno.

La Cappella degli Scrovegni

Otto mesi di restauro hanno riportato alla luce e al suo massimo splendore un altro capolavoro dell’arte italiana: gli affreschi del Divin Pintore, così veniva chiamato Giotto, l’artista che insieme a Dante diede origine alla civiltà italiana. La Cappella degli Scrovegni fu edificata nel 1303 per volere di Enrico Scrovegni con il fine di espiare i peccati di usura del padre. La decorazione dell’unica navata fu commissionata a Giotto che terminò i lavori nel 1305, anno di consacrazione della cappella. Il ciclo narrativo degli affreschi descrive le Storie della vita della Vergine e di Cristo, scandite in tre fasce, suddivise in riquadri lungo le pareti; l’alto zoccolo di base raffigura le allegorie dei Vizi e delle Virtù a chiaroscuro. Sopra all’arco trionfale di fronte all’entrata ritroviamo la scena dell’Annunciazione; nella controfacciata il maestoso Giudizio Universale; nella volta a botte, racchiusi in due medaglioni, le effigi di Cristo e di Maria circondate dai Profeti. Giotto è riuscito a creare una dimensione spaziale nuova, uno spazio illusorio, simbolico della pittura che supera quello fisico dell’architettura. Notevole la composizione dei due finti Coretti che creano una illusione di profondità. Anche il colore gioca un ruolo decisivo e innovativo: accentuazione delle graduazioni tonali e contorni incisivi; una perfezione di segno e una cura maniacale della tecnica che si accosta più a una pittura da tavola che a una decorazione murale. Quest’opera simboleggia la maturità artistica di Giotto e viene eletta a simbolo della città di Padova. Un percorso che lascia un’emozione indescrivibile. 

Informazioni sull’Autore

Lara Malerba è caporedattore per ZeroDelta e si occupa principalmente di turismo. Nelle ultime settimane si è dedicata a una directory e a un progetto relativo agli agriturismo.

Fonte: Article-Marketing.it

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