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I giocattoli dell’Antica Roma

Duemila anni fa i giochi elettronici non c’erano, ma i bimbi romani si divertivano lo stesso. I reperti archeologici, i dipinti sui vasi, i bassorilievi ci raccontano di decine di passatempi e giocattoli. E, come oggi, anche i grandi avevano i loro giochi. Già i poppanti potevano dilettarsi con «biberon» di terracotta a forma di porcellino o cagnolino. Forse poco pratici, ma molto divertenti.

Gli animali di terracotta andavano molto anche nell’infanzia, ma solo per le femminucce. I maschi preferivano carrozze in miniatura e cavallini di coccio con le ruote che, legati con un laccio di cuoio per trascinarli, permettevano di imitare le corse con le bighe e le campagne militari degli adulti.

Un capitolo a parte meritano le bambole (pupae, per i latini). Le bambine romane ne andavano matte, ma potevano conservarle solo fino a che erano nubili. Ce n’erano di molti tipi, ma tutte rappresentavano ragazze e non bambine, un po’ come le nostre Barbie. Fuori dal comune è la splendida bambola di Crepereia, la giovane del II secolo dopo Cristo la cui tomba è stata scoperta a Roma nel 1889. Si tratta di una bambola in avorio con gli arti snodabili, che aveva persino i propri minuscoli gioielli d’oro: anelli, orecchini, bracciali. Ai bambini poveri non andava così bene: bastoni o canne da cavalcare al posto dei cavallucci, e bambole di pezza. Fra coetanei si giocava poi a nascondino e mosca cieca.

Ed è inutile dire che già allora andava di moda fare giochi diversi con la palla, anche tra adulti. Uno era il trigone, una sorta di pallamano a tre giocatori dal ritmo vorticoso. Una palla leggera di cuoio gonfiata d’aria, detta follis, era usata invece facendola rimbalzare per terra.

Molti giochi di bambini avevano poi come protagoniste le noci, tanto che l’età della fanciullezza era definita «l’età delle noci». Accumulate gelosamente, si potevano lanciare, far rotolare o utilizzare come fiches. I giochi d’azzardo erano invece praticati con accanimento dai Romani adulti. Intere fortune furono dilapidate in pochi lanci di dadi (tesserae), che peraltro erano vietati dalla legge. Ma anche alcuni imperatori, come Claudio e Nerone, erano sfrenati giocatori.

Era vietato anche giocare con gli astragali, ossicini del tarso presi da pecore o altri animali, oppure riprodotti in piombo, bronzo o metalli preziosi. Venivano usati in modo simile ai dadi, dipingendo figure sui loro quattro lati utili. Le puntate divennero così cospicue che Giovenale all’inizio del II secolo, criticando i vizi della sua epoca, scriveva:

«Quando mai ci fu una maggior passione per i dadi? Ormai non si va più a giocare d’azzardo con il solo borsellino. Vi si porta e vi si rischia la propria cassaforte tutta intera!».

di Annarita Sanna

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