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I Fescennini, l’origine del Teatro Latino

Una delle tradizioni più curiose, ma anche misteriose, di Roma antica è quella dei versi fescennini (fescennini versus), ai quali si può far risalire, almeno in parte, l’origine dell’arte teatrale latina. Misteriosa perchè poco si sa della sua origine, e curiosa perchè se ne trovano tracce anche oggi, in tradizioni popolari legate a cerimonie o riti festivi.
 
I fescennini erano una sorta di brevi rappresentazioni sceniche del tutto improvvisate, senza un testo o un canovaccio prestabilito. Legati alle feste campestri che si tenevano in occasione del raccolto o della vendemmia, avevano una funzione apotropaica, cioè ingraziarsi le divinità che presiedevano alle varie attività agricole. Durante questi riti, i contadini, forse mascherandosi in maniera rozza, come pare suggerire un passo delle Georgiche di Virgilio:
 
“Coloni versibus incomptis ludunt risuque soluto,oraque corticibus sumunt horrenda cavatis”, (i contadini fanno festa con versi grossolani e sghignazzate, prendono maschere repellenti, fatte di cortecce cave),
 
si scambiavano battute e versi dozzinali. Parole volgari e licenziose, pronunciate allo scopo di ingraziarsi gli dei benevoli e allontanare i demoni che avrebbero potuto arrecare danno alle attività campestri.
 
Tali rituali rustici, erano legati anche alle cerimonie nuziali, durante le quali la recita dei versi fescennini avevano il medesimo scopo: allontanare il malocchio dalla casa della nuova famiglia e le possibili influenze negative dalla vita della coppia.
 
Non si hanno testimonianze dirette di queste piccole scene improvvisate e nemmeno delle parole che venivano pronunciate ( doveva essere un “repertorio” tradizionale, tramandato a memoria di generazione in generazione, con formule rituali precostituite e di cui era stato verificato il buon esito); tuttavia, il passo di un’epistola scritta dal poeta Orazio (65/68 a.C.) ce ne fornisce una descrizione piuttosto completa:
 
” Gli antichi agricoltori del Lazio, dopo aver riposto il grano, davano ristoro, nei giorno di festa, al corpo e all’animo che aveva sostenuto le fatiche con la speranza di vederne il termine. Insieme con i compagni di lavoro, i figli e le mogli fedeli, solevano placare Tellure (dea della terra, protettrice della fecondità, il cui culto era antichissimo), con un maiale silvano, con latte e con fiori e vino. L’usanza produsse la licenza fescennina (fescennina licentia) che partorì rustici sarcasmi a versi alternati. Finchè si limitò a scherzi piacevoli, la libertà del fescennino fu ben accolta nelle ricorrenze annuali, ma quando gli scherzi divennero crudeli e iniziarono a trascendere in lividi attacchi personali, penetrando, truculenti e impuniti, nelle case oneste, non furono più tollerati”.
 
Anche Tito Livio parla dei fescennini, raccontando che venivano accompagnati da danze e canti, costituendo, a suo parere, la prima forma di rappresentazione teatrale della latinità. Doveva trattarsi di scambi di battute legate alla sfera sessuale, che avevano lo scopo di scatenare un riso sfrenato e rumoroso, allo scopo di allontanare demoni e fantasmi.
 
Del resto, una delle etimologie possibili del termine “fescennino” si ricollega alla parola fascinum, che in latino indicava il membro virile eretto, in grado, pare, di scacciare il malocchio (!). Una diversa etimologia collega i carmi alla cittadina di Fescennio, al confine tra Lazio e Etruria. Il centro, ormai scomparso, sorgeva lungo la via Amerina (che collegava Roma all’Umbria passando pper Ameria, oggi Amelia) probabilmente dove oggi sorge l’abitato di Corchiano. Bizzarri ed esotici già per i Romani che faticavano a ricostruirne il senso e l’origine, i fescennini hanno lasciato “eredi” nei lazzi scherzosi e sboccati che è uso recitare durante le feste di matrimonio e nella tradizione toscana della salace ” poesia all’impronta” (improvvisazione) tipica del mondo rurale.
 

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